Nella mia ricerca sulle tradizioni storico-gastronomiche della Puglia, questa volta voglio incuriosirvi elencandovi le abitudini alimentari di questa splendida regione nel periodo della dominazione Romana.
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Per tutte le città della Puglia la conquista dei Romani fu completata intorno al 260 a.C.
I romani dividevano la loro razione alimentare quotidiana in tre pasti chiamati: ientaculum, cena, vesperna (che fu sostituita dal prandium). La colazione consumata prima di recarsi al lavoro era semplicissima: un bicchiere d’acqua o qualcosa rimasto dalla cena della sera prima come olive, capperi, uova, un po’ di formaggio, pane, miele; i bambini , invece, consumavano latte e focaccette, dolci o salate. Il prandium, per i poveri e la plebe era consumato a casa, mentre i più facoltosi mangiavano spesso nelle tabernae dove si consumava del pane con companatici semplici come:uova sode, formaggio, legumi e si beveva vino mescolato con acqua calda d’inverno o fredda d’estate. Si usava insaporire i cibi con il garum, la cui ricetta ci è stata tramandata da Marziale: una salsa liquida a base di pesci sotto sale, specialmente teste di acciughe sotto sale ed erbe aromatiche che i ricchi versavano a gocce come condimento su svariate pietanze. Del garum esistevano numerose varianti, a seconda dei pesci o delle interiora usate, o del periodo di maturazione. Unendovi aceto, pepe ed altre spezie si otteneva l’oxygarum . La parte solida che restava dalla macerazione, dopo averne estratto per pressione il liquido residuo (garum oppure liquamen, quest’ultimo probabilmente più diluito e forse dolcificato) , era l’allec, che doveva somigliare per sapore alla nostra pasta d’acciughe, ma più aromatica. Era una raffinatezza adatta agli antipasti e ,nella sua versione economica (ottenuta da garum di interiora), una ghiottoneria alla portata del popolo: servitori, soldati e contadini usavano spalmarla sul pane per insaporirlo, visto che ne consumavano grandi quantità, anche un chilo al giorno.
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Al tramonto finiva la giornata lavorativa e la famiglia si riuniva a cena (cenao coena), il pasto principale della giornata. Nei tempi più arcaici ci si accontentava di zuppe di cereali o legumi, latte, formaggio, frutta fresca o secca, olive, a volte lardo; con il raffinarsi dei costumi presto il pane sostituì le zuppe e farinate primitive, mentre la carne comparve sulla tavola dei più ricchi. Il pasto serale era anche occasione per accogliere ospiti e amici (convivium, o banchetto). I banchetti avevano fino a 100 portate. I cereali erano alla base dell’alimentazione. I romani facevano zuppe e farinate saporite utilizzando tutti i cereali disponibili, mangiavano pane e focacce e i loro cereali avevano un potere nutritivo di gran lunga superiore a quello dei nostri giorni. Si coltivavano, sin dai tempi antichi: orzo, grano duro (farro o spelta), segale, avena, miglio e panico. Il farro o spelta, troppo duro per poter essere macinato in farina fine, veniva frantumato e cotto in semolini o farinate; finché nel V sec. a.C. l’introduzione del grano duro o triticum consentì di produrre farina e quindi di impastare pane e focacce. L’ avena era destinata per lo più all’alimentazione animale, mentre il miglio e il panico erano usati per il puls o farinata. La segale, infine, era spesso mischiata con il farro per fare il puls. Il riso veniva importato dall’oriente (India), era un prodotto di lusso e veniva usato sotto forma di amido come legante per i cibi e in medicina. In Europa la coltivazione del riso a scopo alimentare si ebbe per la prima volta in Spagna ad opera degli Arabi nell’VIII sec..
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Il pane dei romani era di molti tipi: bianco, nero, lievitato, gallette secche (per i marinai), panini raffinati ai semi di papavero, anice, finocchio, sedano e cumino, ecc. (con infiniti nomi e forme). Il panettiere (pistoro triticarius) faceva anche le focacce ( placentarius), aveva a disposizione tre tipi di farina a seconda del livello di setacciatura: il fior di farina (siligo o pollen), il tipo intermedio (simila o similago) e una farina integrale (cibarium), non setacciata. Vi era poi il lievito (fermentum) da usare a seconda se si voleva fare un pane azzimo o lievitato. Un lievito di birra veniva prodotto in Spagna e Gallia dalla schiuma che si formava durante la fermentazione della birra, rendendo il pane soffice e delicato. Ma il lievito più stimato era ricavato dal miglio.
Le verdure costituivano spesso l’antipasto: asparagi, carciofi, barbabietole, cavoli, cime di rapa, carote, cardi, rape, cipolla, porri, zucche e cetrioli; così come varie insalate, cotte o crude: lattuga, crescione, cicoria, indivia, malva. Seguivano poi i legumi: fave, lupini, lenticchie, ceci, piselli. Funghi e tartufi erano infine cibi prelibati. Immancabile la frutta fresca (mele, pere, melograni, lazzeruole o piccole mele, mele cotogne, prugne, more di rovo e gelso, ciliegie, pesche, albicocche, fichi e uva; poponi, meloni, cocomeri) e secca (noci, nocciole, mandorle, pinoli, datteri) e immancabili le olive.
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Le tavole dei romani erano ricche di formaggi (di pecora e capra in prevalenza).
Il Mediterraneo era ricchissimo di pesce: sarde, sardine, acciughe, sgombri, orate, saraghi, torpedini, sogliole e tonni, triglie e dentici, scorfani, muggini, passere e lamprede, ostriche, aragoste, calamari, seppie, polipi, mitili ecc.. Anche la carne non mancava sulla tavola dei romani, a parte i bovini – che erano utilizzati quasi esclusivamente per il lavoro nei campi – i Romani mangiavano: maiali, agnelli, capretti, polli, oche, anatre, piccioni e colombacci; selvaggina (lepri, cinghiali, pernici, fagiani, cervi, caprioli, tordi e beccafichi). Rane e lumache erano, invece,una specialità. Lardo, salsicce di ogni tipo (in particolare quella lucanica) e prosciutti arricchivano la dieta, mangiate spesso insieme alla polenta (puls) di grano e di farro. Tutti i diversi tipi di carne venivano arrostiti al forno o cotti allo spiedo, in spezzatino; sulla graticola, ecc..
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I banchetti dei ricchi si concludevano poi con una ricca portata di dolci, frutta fresca e secca, focacce salate e, a volte, salsicce e formaggi. I dolci avevano come ingredienti base per lo più farina, cacio e miele. Ma si facevano anche soufflè di frutta, omelette dolci e creme all’uovo. I Romani cercavano di preparare molte conserve per rendere disponibili quanti più cibi possibili durante l’anno. Si trovano in numerose fonti antiche, consigli e ricette su come conservare rape, fichi o tartufi, per migliorare il miele e correggere il garum troppo salato. Salamoia, sale, spezie, olio, aceto e miele, senape erano gli ingredienti base per conservare cibi a lungo.
Bevande calde e fredde (vino, latte, acqua, birra, tisane, ecc.) erano tutte molto gradite. In campagna si beveva acqua e latte (di capra e pecora). Molto apprezzato era anche il latte di cammella mentre quello di cavalla e asina erano usati per la cosmesi. Altra bevanda di uso comune era la birra (cervisia): già prodotta in grande quantità fin dai tempi degli egizi (considerati i suoi inventori), era ricavata dalla fermentazione del frumento e dell’orzo, ma era priva di luppolo e quindi si conservava per breve tempo; inoltre, era considerata solo una bevanda ricostituente per malati ed era bevuta in massima parte dai soldati … Nessun padrone di casa l’avrebbe offerta ai suoi ospiti in un banchetto. Invece il vino era un prodotto divino, regalato agli uomini dal Dio Bacco per questo fu la bevanda più apprezzata e bevuta nel mondo antico.
Anche la dominazione Romana ci ha lasciato, come avete potuto estrapolare da questo articolo, innumerevoli tradizioni che troviamo ancora sulle tavole pugliesi. Cambieranno i loro nomi ma i prodotti sono identici a ciò di cui, i nostri antenati, usavano cibarsi. Quindi, quando vi accingerete a sedervi a tavola, emozionatevi al pensiero che starete rivivendo un momento conviviale già vissuto dai vostri avi … La tradizione è nel nostro DNA.
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