Montecristo: L’Ospizio dei Dannati

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Il vecchio ospedale psichiatrico di Montecristo torreggiava sulla collina, un monito inquietante di un passato dimenticato. Le sue finestre vuote fissavano i boschi circostanti, come occhi spenti che avevano visto troppa oscurità. Era il luogo perfetto per l’urbex, l’esplorazione urbana, e quella notte, un gruppo di quattro amici, Marco, Giulia, Luca e Sara, si erano avventurati al suo interno.

Armati di torce e macchine fotografiche, si erano addentrati nei corridoi bui, dove l’aria era densa di polvere e di un odore stantio di medicine e disperazione. Le pareti erano ricoperte di graffiti sbiaditi e di scritte deliranti, testimonianze di anime tormentate.

Mentre si addentravano nell’edificio, sentirono dei rumori strani, scricchiolii e gemiti che sembravano provenire dalle stanze più profonde. Marco, il più coraggioso del gruppo, propose di esplorare il seminterrato, dove si diceva fossero state condotte le terapie più brutali.

Giù nelle viscere dell’ospedale, l’atmosfera si fece ancora più opprimente. Le loro torce proiettavano ombre danzanti sulle pareti, creando figure mostruose che sembravano seguirli. In una stanza, trovarono una vecchia sedia da elettroshock, con cinghie di cuoio e fili arrugginiti. Un brivido percorse la schiena di tutti.

Improvvisamente, sentirono un tonfo sordo provenire da una stanza vicina. Si avvicinarono cautamente, le torce tremanti, e spalancarono la porta. Ciò che videro li paralizzò: una figura alta e scheletrica, con occhi ardenti e un sorriso macabro, li fissava dall’angolo della stanza.

Un urlo di terrore ruppe il silenzio, mentre la figura si lanciava verso di loro. Fuggirono nel panico, correndo per i corridoi bui, il mostro alle calcagna. Sentivano il suo respiro affannoso e le sue unghie affilate che graffiavano le pareti.

Raggiunsero l’uscita, il cuore in gola, e si lanciarono nella notte. Dietro di loro, l’ospedale psichiatrico di Montecristo li osservava, silenzioso e minaccioso, con i suoi segreti oscuri e le sue presenze inquietanti.

Da quella notte, nessuno di loro osò più fare urbex. Avevano visto l’orrore negli occhi, e sapevano che alcuni luoghi è meglio lasciarli in pace, sepolti nel passato, dove appartengono.

Giuseppe Gallo

Giuseppe Gallo

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