Giorni fa ricevo una telefonata da una donna che mi dice di aver letto, nei giorni scorsi tramite Facebook, il mio articolo sul pittore grottagliese Gaspare Mastro pubblicato su Anynamenews e mi chiede se posso concederle una “chiacchierata”. Sorrido sul “concedere” e le dico di si. In tutti gli anni del mio “girovagare” mi sono resa conto che dietro ad ogni persona c’è una storia che non è mai scontata e che porta con sé un mondo da scoprire.
Ci diamo appuntamento a Bologna, nel negozio di una nostra comune conoscenza che le ha parlato di me, e da lì partiamo per una passeggiata che ci porta indietro nel tempo. Anna, dove Anna è ovviamente un nome di fantasia, che oggi ha poco più che quarant’ anni, mi racconta di quando tredicenne, aveva appena finito di frequentare la terza media, nel paese del foggiano in cui viveva incontra un’estate un ragazzo di dieci anni più grande che veniva dal nord pur avendo origini “sudiste”. Per noi nati al sud, il nord è quasi sempre nel nostro immaginario il luogo del riscatto. Chi viene dal nord ha una marcia in più. Solo l’accento di chi viene dal nord ci dà un certo non so che di fascino raffinato, direi, ma attenti, è tutto da verificare. Così la nostra Anna, di umili origini e di un paesino del sud Italia che offriva ben poco per crescere, si innamora per la prima volta di quello che, ai suoi occhi di bambina che ancora non aveva compreso che le favole non esistono, era il Principe Azzurro. Un Principe Azzurro che già lavorava, operaio in una fabbrica di Treviso, e quindi già con una certa disponibilità economica. Si frequentano, dove frequentarsi stava per un giro veloce in moto, una passeggiata, un gelato insieme. A tredici anni i sentimenti corrono veloci con le favole ancora reali nella mente. Così, sempre in quell’estate, comincia a convincerla, giorno dopo giorno, che aveva bisogno di una “prova d’amore” da lei, altrimenti non poteva credere che il suo sentimento fosse realmente ricambiato. Anna, con 5 fratelli e una sorella più grande che viveva vicino Bologna, inoltre sposata e mamma di un bambino, non ebbe il tempo né il coraggio di raccontare cosa le stava accadendo alle amichette che non avrebbero capito, loro che erano troppo piccole per lei; né alla madre che, tornando alla sera distrutta dal lavoro nei campi e troppo “vecchia” non avrebbe mai compreso la fortuna che le era capitata. Si trovò in un vortice che le toglieva ogni volontà completamente in balia del suo Principe. A quell’età tutto è in via di formazione e trasformazione, soprattutto la mente. Dopo essersi concessa in qualcosa che non aveva ben capito cosa fosse, il periodo di vacanza del suo Principe finì e lui dovette andar via per tornare al lavoro. Ritornò però ogni volta che poteva e questo la convinse sempre di più che lui era veramente il Principe Azzurro delle favole. La sua vita da bambina finisce così. Non continua a studiare, lui non vuole, “a te ci penso io”, e resta a casa ad occuparsi delle faccende visto che la mamma è sempre al lavoro e i soldi non bastano mai. Passano cinque anni. Anni in cui lui manifesta sempre il diritto di “padronanza” su di lei. Le vieta di uscire, di frequentare le coetanee, ormai amiche non ne ha più. Lei è sua e non ha nulla più da spartire con quelle bambinette. Anna si fida. Ci crede. Lui è del nord! E non pensa mai che in realtà se uno è innamorato non si comporta come un “padrone”. Passano cinque anni. Il nostro Principe per me è un bel furbetto, oltre ad altri epiteti che non posso dire e che mi passano veloci nella mente. Appena lei compie diciotto anni, lui le dice che è arrivato il momento di sposarsi e andare a vivere insieme a Treviso. Tutti felici! Lei è un po’ giovane, ma lui è un lavoratore e vive al nord così anche lei potrà trovare un bel lavoro. Ai suoi occhi lui diventa “Dio”. “Mi porterà con sé ed io sarò sua moglie”. Quale cosa più bella poteva capitarle nella vita! La vita è una cosa meravigliosa! Si trasferisce a Treviso e va a vivere con il suo Principe Azzurro. Ai genitori è piaciuto tanto quel ragazzo così educato, lavoratore e innamorato sinceramente della propria figlia. Nella loro semplicità non hanno visto o non hanno voluto vedere ciò che realmente era accaduto. Un ragazzo grande che circuisce una bambina e le distrugge la fanciullezza e la vita. Dopo il matrimonio, celebrato nel paesello d’origine di entrambi, Anna si trova a Treviso “ostaggio” di un marito “padrone”, pretenzioso, violento. Le era proibito uscire se non per fare la spesa. Doveva rendere conto di ogni passo che faceva. Doveva soddisfare i suoi bisogni sessuali ogni volta che lui pretendeva. E se lei non si comportava come lui voleva erano botte, tante botte. E doveva ricacciare dentro le lacrime perché lui non voleva vederle. “Cos’è? Non sei contenta di stare con me?”. Anna aveva scoperto cosa fosse l’inferno. Lo viveva giorno e notte. Perché anche la notte, all’improvviso, mentre lei dormiva erano giù botte, senza nessuna ragione. Così, perché in quel momento lui voleva farlo. Non una parola con nessuno era l’ordine quotidiano! Resta subito incinta. Nasce il primo figlio. L’anno dopo il secondo, l’anno ancora dopo perde il terzo e due anni dopo nasce l’ultimo bambino. A ventidue anni è già madre di tre figli. Lei li ama con tutta sé stessa. Ha paura per loro. L’ambiente in cui vivono è un incubo! Comincia a pensare, dopo anni di inferno, che non può permettere ai suoi bambini di viverlo quell’inferno. Comprende lentamente, ora che ragiona da madre, cosa le è capitato e come lui le ha distrutto la vita. Comincia a mettere da parte gli spiccioli che restano della spesa. Attenta a non farsi scoprire. Scava dietro ad una mattonella del bagno una piccola nicchia dove nasconderli e per mesi continua questo “gioco”. Le botte e le violenze sono sempre tante e sempre di più perché ora si aggiungono quelle che lei prende per proteggere i bambini che piangono o che disturbano il “padrone”. Ma lei non le sente più. Lei andrà via e porterà via i suoi bambini dall’inferno. Le basta un biglietto del treno per Bologna. Sua sorella non sa nulla di ciò che lei vive ma Anna sa che l’aiuterà. Ci mette tanto a racimolare il denaro. Non è facile. Ogni volta che lui si accorge che manca uno spicciolo sono giù botte e altro che non vuole ricordare. Ma l’importante è aver capito. Con la forza che solo una donna e una madre può avere, riesce finalmente a scappare e a prendere quel treno. Parte così per un viaggio di non ritorno una giovane mamma e i suoi tre bambini. Parte sapendo che qualunque cosa le potrà accadere i suoi bambini staranno meglio e lei si riprenderà la sua vita. Il modo in cui mi racconta questo mi trasmette una forza incredibile. La forza delle donne! Mi viene in mente la lettura di “Donne che corrono coi lupi” dove l’autrice evidenzia che ad una donna possono togliere la pelle, la carne ma non potranno mai distruggere le sue ossa e su quelle lei ricostruirà il suo corpo e la sua vita. Una forza straordinaria. Una determinazione commovente. Ma tutta la sua storia lo è! Arriva a Bologna. Dalla Stazione telefona alla sorella all’inizio chiedendole come sta e poi dicendole che è in città con i bambini. La sorella manda subito il marito a prenderli. Felicissima di vedere lei e i bambini che quasi non aveva mai visto. Anna piange come se avesse estirpato da lei il male peggiore che un essere umano possa avere. La sorella le chiede e l’ascolta. Ora è al sicuro. Sua sorella sa e la aiuterà. A quel racconto fatto di violenze e soprusi e sofferenza continua risponde di stare tranquilla, potrà stare da loro per una settimana poi però è meglio che se ne torna da dove è venuta. Quello è il marito che si è scelta e là deve stare. Gli parlerà e vedrà che non è poi così come lei pensa che sia. Anna resta incredula. Non può tornare indietro. Lui l’ammazzerebbe. E i bambini? Se si rivolge ai servizi sociali glieli toglierebbero di certo. E’ giovane, non ha lavoro, non ha una casa. La sorella non sente ragioni. In quei pochi istanti in cui le sembra di impazzire riprende la sua forza e il suo coraggio. “Io non mi arrendo!” pensa. Le dice che va bene e che tra una settimana sarebbe ritornata a casa. Casa! La casa è il luogo della sicurezza e quella non può essere la sua casa. La mattina dopo si alza presto. Prende l’elenco telefonico per cercare un’associazione che si occupi di casi come il suo. In televisione ne aveva sentito parlare. Si presenta direttamente. Non sa neanche come ha fatto ad arrivarci. Ricorda ancora il nome della persona con cui ha parlato. Una lacrima le riga il volto. Non ne avevo ancora viste scendere dai suoi occhi. Una lacrima di gioia e di gratitudine. Grazie a questa associazione (mi da tutte le indicazioni se voglio verificare) lei è uscita da un incubo. In collaborazione con i servizi sociali della città in cui l’associazione aveva sede le hanno ridato la vita. L’hanno aiutata a trovare una casa. Le hanno trovato un primo lavoro come lavapiatti che lei ha poi cambiato e ricambiato finché non ha trovato quello che fa ancora oggi e che le ha permesso di crescere i suoi figli, oggi tutti e tre diplomati e con un lavoro. Ha incontrato un bravo ragazzo con cui ha creato la sua famiglia ed ha avuto altri due bambini. Vive di sacrifici ma di dignità, finalmente felice e serena, con un marito padre dei suoi cinque figli! Il padre biologico dei suoi primi tre, a cui ovviamente è stata tolta la patria potestà, non può avvicinarsi a loro e ha subito il carcere per ciò che ha fatto. Da tanto Principe Azzurro è diventato niente Principe e molto Nero! Mi abbraccia, piange. Lo facciamo insieme e mi dice “Ti prego, racconta! Le donne devono sapere che la loro forza è più grande di qualunque violenza e che devono parlare e chiedere aiuto!”. La lascio con un abbraccio e mi sento, con lei alta non più di un metro e cinquanta, piccola piccola davanti ad una grande Donna e Mamma!
Patrizia Giannotte
E20 aps