Non è così lontana come può sembrare l’epoca della seconda guerra mondiale (1939/1945) in cui l’Italia già dal 1940 visse il periodo del “coprifuoco”, una forma restrittiva limitante della libertà personale.
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Il termine ha origini medievali quando, dopo il rintocco di una campana o lo squillo di una tromba, nelle ore notturne, bisognava coprire con la cenere il fuoco che serviva per riscaldare o cucinare o semplicemente quello di un lume, per evitare incendi accidentali durante la notte. Il coprifuoco della seconda guerra mondiale invece, oltre all’oscuramento, limitava le uscite in determinati orari, e non esclusivamente di notte, per motivi di ordine pubblico. Chi non osservava l’ordine imposto veniva arrestato e giudicato secondo le leggi di guerra. Noi oggi non riusciamo neanche minimamente a immaginare in che clima si vivesse allora, se non dai racconti che ci sono stati fatti da chi l’ha vissuto. Ma a tutto ci si adatta e anche a quello ci si fece l’abitudine.
Quando la guerra finì, fu come un risveglio da un incubo durato anni che lasciò nell’animo tanto dolore e tanta tristezza seppur con la gioia di avercela fatta. Oggi, con la terribile emergenza sanitaria che ci sta colpendo, ci troviamo, a distanza di 80 anni ad aver ancora a che fare con il “coprifuoco”, seppure in senso lato, almeno per ora. Oggi ci viene chiesto, con accordo unanime dei capi di governo, degli amministratori regionali e locali, di limitare le uscite dalle nostre case se non per motivi di effettiva necessità, includendo in questa anche la possibilità di recarsi sul posto di lavoro. Secondo gli esperti, ci sono ampie probabilità che questo sistema riduca la diffusione tramite contagio del virus Covid-19.
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Dobbiamo attendere ancora qualche settimana prima di esserne maggiormente certi. Intanto da un lato c’è chi le regole le rispetta, anche per la paura del contagio, e chi purtroppo dall’altro si comporta come il “furbetto di turno” che, con una superficialità disarmante e con una mancanza di rispetto per gli altri che fa venire i brividi, continua a vagare convinto di essere il nuovo Highlander mettendo invece a rischio i propri familiari, amici, conoscenti e chiunque incontri per caso.
Anni fa circolava uno spot informativo su una nota malattia che dipingeva di rosa tutti quelli che venivano contagiati senza averla contratta in prima persona. Potremmo estendere quel rosa a ciò che questo virus scatena. Una catena di Sant’Antonio infinita se non la si ferma evitando i contatti interpersonali. Ma, purtroppo, per i cattivi pagano anche i buoni e il nostro Governo, nazionale, regionale e locale, ha perso la pazienza.
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Ma cosa rischia dal punto di vista giuridico chi non rispetta le indicazioni? Intanto entra in gioco l’art. 650 del codice penale che così recita: Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206,00 (trasformata per l’occasione da euro 400,00 a euro 3.000,00). Le forze incaricate del monitoraggio sono le forze di polizia, i vigili del fuoco e l’esercito oltre, nei casi di isolamento imposto, gli operatori sanitari. Non serve aggiungere che trattasi di pubblici ufficiali. Non trascurerei invece di sottolineare il punto in cui si dice “se il fatto non costituisce un più grave reato”, dove per “grave reato” si può prefigurare la diffusione e il contagio del virus. Rischia fino a 5 anni invece chi, positivo, viola la quarantena. C’è poi una lista dedicata alle attività commerciali dove, oltre alle sanzioni, si può arrivare al blocco dell’attività per 30 giorni e oltre.
Non è uno scherzo. Nessuno sta giocando. Migliaia di morti meritano il nostro rispetto.
Pertanto, mai come ora, è valido l’imperativo #iorestoacasa ! Evitiamo polemiche e rispettiamo le regole. La salute è un bene comune!
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