Dizionario del Fascismo

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Immagina di essere un baldo giovinotto, magari un po’ vitaiolo (playboy), che passa le sue giornate al bar (bar), ascoltando alla radio, tra un arzente (cognac) e un bombolone (croissant), le ultime novità dalla Casa Bianca di Vosintòne (Washington), i discorsi “deliranti” del Primo Ministro inglese Ciorcil (Churchill), o la magica tromba di Luigi Braccioforte (Louis Armstrong). 

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All’esterno del bar c’è una signorina, che ti guarda con occhio languido. Tu le piaci. Lei ti piace. I vostri sguardi fanno intravedere un certo amoretto (flirt).

Ti sistemi il farsetto (pullover), ti avvicini a lei e, fedele alla tua educazione, ti rivolgi alla signorina con grande formalità: «Voi, signorina, siete alquanto caruccia! Stasera vorreste uscire con me a vedere un filme (film)?»

Lei accetta. Appuntamento a stasera!

Non hai molti spiccioli ne tuo portafoglio, ma cerchi comunque di presentarti al meglio, promettendo alla signorina una serata indimenticabile. Così corri subito a farti sistemare i capelli dal tuo coiffeur, che ha preferito mantenere sull’insegna quel “femmineo nomignolo”, pur consapevole di dover pagare al Regime una tassa mensile di 750 lire (circa 490 euro), colpevole di non voler partecipare alla guerra per il purismo della lingua italiana.

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Mentre lo coiffeur è impegnato a tagliare i capelli a un giovane esploratore (boy-scout) – una mezza cartuccia oseresti dire -, butti un occhio su una copia della prima rivista che ti è capitata fra le mani: una rivista femminile, “Lei”, che nella campagna di abolizione del “lei” di cortesia promossa dal segretario del partito nazionale fascista Achille Starace, ha cambiato nome in “Anna bella”.

Con i capelli perfetti, torni finalmente nel tuo fuggicasa (pied-à-terre), dal quale esci, dopo circa mezz’ora, indossando una elegante giacchetta da sera (smoking) e il tuo immancabile cravattino (papillon).

Purtroppo non hai i soldi per permetterti un tassì (taxi), e così vai a prendere la signorina a bordo di un torpedone (pullman).

Arrivati al cinematografo, andate a visionare un film d’amore americano, i quali personaggi hanno nomi molto italiani; e successivamente decidete di andare a cena. Offri tu… ovviamente. Ma dove la porto?

Nel tuo cuore vorresti andare a mangiare un semplice tramezzino (sandwich), oppure a una tavola fredda (buffet), dove si mangia tanto e si spende poco. Ma, alla fine, decidi di svuotarti le tasche, andando a cenare nel più lussuoso ristorante della città: il “Chiar di Luna”.

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A bordo dell’immancabile torpedone arrivate davanti all’ingresso del lussuoso ristorante. Entrati al suo interno, camminate con le vostre scarpe sul pregiato tassellato (parquet) in rovere del locale e vi sedete al tavolo più desiderato del “Chiar di Luna”, posizionato sulla terrazza con un fantastico tuttochesivede (panorama) sulla città.

Fra un bicchiere di sciampagna (champagne) e l’altro, parlate dei vostri interessi e delle vostre aspirazioni: lei vorrebbe diventare un’affermata brillante (soubrette) del teatro di varietà, tu un famoso campione di pallacorda (tennis) a Buonaria (Buenos Aires).

Prima che arrivi il cibo ordinato attraverso la lista (menù), vai nel bagno del ristorante a scaricare gli effetti dell’olio di ricino. Dopo aver apprezzato gli effetti del pregiato olio, esci dal bagno, ma ti dimentichi di tirare lo sciacquone (water-closet), e ti ricordi di ciò solo quando sei vicino al tuo tavolo. A questo punto, l’unica cosa che puoi fare è sperare che il personale di servizio del ristorante si accorga il più tardi possibile della tua dimenticanza.

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Terminata la cena, sono terminati anche i soldi.

Fortunatamente la signorina abita nelle vicinanze e la sua casa è raggiungibile a piedi, senza l’aiuto dell’immancabile torpedone.

Raggiunto il portone, la signorina vi guarda nuovamente con sguardo languido. La giovane si è divertita. L’appuntamento è stato un successo e la signorina è pronta a regalarti un bacio. Le vostre bocche si avvicinano ma dalla tua esce un corposo rutto, risultato della cena precedente, che rovina l’atmosfera e le narici della signorina che, disgustata, rientra in casa senza neanche salutare. 

La serata perfetta è stata rovinata e, con il portafoglio vuoto, sei costretto a tornare nel tuo fuggicasa, dall’altro capo della città, esclusivamente sulle tue gambe, rischiando di essere aggredito da qualche malfattore (gangster).

Mentre torni a casa immensamente sconsolato, pensi a una triste verità: “Il Duce ha ragione: «Boia chi molla… il rutto!»”.

 

P.S. Con questa innocua storiella ho pensato di raccontare, in modo originale, l’assurda guerra per il purismo della lingua italiana condotta durante il Ventennio Fascista. Una guerra ironica e assurda, che fa parte di quelle tante sfaccettature del regime mussoliniano.

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Giuseppe Gallo

Giuseppe Gallo

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