Perché dovrei raccontare delle origini della musica? Che importanza sociale può avere un argomento di questo tipo? Intrufolandomi da anni tra le pagine di diverse testate giornalistiche italiane ed europee, mi imbatto spesso in statistiche deprimenti per la società italiana.
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Vi siete mai chiesti com’è possibile che i nostri studenti vengano “classificati” tra i più ignoranti al mondo, più ignoranti di come non fossero vent’anni fa, promossi spesso a pieni voti ma in realtà supponenti e ignoranti come pochi a paragone dei colleghi degli altri Stati europei? Forse il nostro sistema scolastico, nella sua globalità, fa acqua da tutte le parti e ci sta portando verso un naufragio culturale da cui sarà difficile far ritorno?
L’ AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) sostiene d’altro canto che gli italiani usano troppi farmaci. Presumo, quindi, che introdurre nel mio titolo il termine “compressa” possa spingere qualcuno a seguirmi durante quest’anno per apprendere almeno le nozioni base, il cosiddetto ABC della cultura italiana, magari dando spunto e invogliando a cercare curiosità per saperne di più. Ogni domenica potrete leggere di musica, storia, letteratura, teatro, danza, arte, diritti, sociale, cucina, bon ton, ecc… rigorosamente a prova di ignorante (inteso come colui che ignora e non certo nel senso dispregiativo del suo termine).
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Tornando alla nostra “compressa”, stabilire con certezza le origini della musica non è cosa precisa. Possiamo però affermare che, nel momento in cui l’uomo ha cominciato a prendere coscienza dell’altro, ha dato vita a grandi scoperte. Tra i seicentomila e diecimila anni fa, nel periodo chiamato “paleolitico”, l’uomo produceva musica con quello di cui disponeva: legno o sassi percossi; sonagliere a scuotimento realizzate con foglie o conchiglie; strumenti a pizzico costruiti tendendo le corde; ad aria come fischietti in osso o flauti in bambù; anche solo il sibilo di un sasso legato ad una corda e fatto roteare nell’aria domandone la velocità produceva un suono. Gli eventi sonori naturali, come un tuono o lo scroscio della pioggia sono stati di ispirazione e imitazione con la voce, con il corpo e con i materiali. Meraviglia della creatività! Sarebbe bello ascoltare le vostre orchestre realizzate con gli oggetti di uso quotidiano ispirati alla natura! Spinto da un forte bisogno di spiritualità (forse oggi andato perduto), imitando quei suoni, l’uomo crede di comunicare con le divinità. Percuotendo i piedi sul terreno o le mani contro il petto, scoraggia i nemici durante i combattimenti o spaventa gli animali che vuole cacciare. Inventa le prime danze da usare nelle celebrazioni, nei festeggiamenti o per ottenere favorì dalle divinità. Andando avanti nei secoli questa fu una pratica usata dai popoli antichi.
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Gli Egizi, ritenendo che la musica avesse origini divine, la usavano nelle celebrazioni sacre ma non la facevano mancare nei festeggiamenti profani, con gli strumenti a corda come arpe e lire, a fiato come i flauti doppi e a percussione come i tamburi. Anche la civiltà ebraica, che influenzò la musica dei primi cristiani, come testimonia la Bibbia utilizzò la musica per glorificare Dio negli inni e nei salmi.
Nell’antica e meravigliosa Grecia, la musica rivestiva una grande importanza nell’educazione di ogni cittadino. Se ci fosse possibile ridisegnare la scuola italiana, dovremmo trarre insegnamento da questa civiltà, che ha formato uomini di grande valore culturale. Userei certamente maggior prudenza, se fossi il nostro Ministro dell’Istruzione, nell’utilizzare il termine cultura in abbinamento alla nostra scuola. Tra i greci il termine “musikè” indicava l’unione di musica, poesia e danza. Arti fondamentali nell’educazione dei fanciulli e nondimeno nel teatro greco. Nelle tragedie era sempre presente un Coro con la funzione di narratore. Molti filosofi greci si dedicavano alla musica scrivendone a volte trattati sulla teoria musicale e ideando un sistema di notazione (il nome delle note) basato sulle lettere dell’alfabeto.
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I modelli musicali dei popoli antichi furono assorbiti dalla civiltà degli antichi romani, in particolare da quella greca, interessandosi molto meno però allo studio teorico. Poiché valorosi combattenti, utilizzavano la musica in battaglia per incitare gli eserciti oppure durante feste e banchetti per celebrare le loro vittorie o ricorrenze.
Ma vi siete mai chiesti quando e come sono nate le sette note musicali che usiamo oggi? L’inventore fu Guido d’Arezzo, un monaco cristiano, benedettino, italiano, teorico della musica, che circa nel 1.020 dopo Cristo, comprendendone la necessità, ideò una notazione musicale unica per agevolare l’apprendimento della musica e dei canti. Si ispirò all’inno a San Giovanni, protettore dei cantori, che questi stessi conoscevano bene. Prendendo le prime sillabe di ogni verso, venne fuori una sequenza: ut (successivamente divenne “do”), re, mi, fa, sol, la. Il “si” venne aggiunto nel XVI sec. usando le iniziali di Sancte Johannes.
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