Sepolto vivo, ma mai così morto.
Non avrei mai immaginato che la morte potesse essere così terribile. Quando ho sentito il primo colpo di pala sulla terra sopra di me, il terrore è esploso nel mio petto. Era buio, un buio così denso che sembrava schiacciarmi. Ero intrappolato, chiuso in una bara di legno, mentre il mio cuore batteva all’impazzata, soffocato dall’angoscia.
Non ricordo come sia successo. Un momento ero in ospedale, lottando per respirare, e poi… buio. Mi avevano dichiarato morto, ma io ero vivo. Vivo e prigioniero in questo sarcofago. Potevo sentire il rumore ovattato dei parenti in lacrime, i loro singhiozzi soffocati, ma le mie grida erano soffocate dal legno spesso della bara.
Mia madre stava parlando. La sua voce tremava di dolore mentre raccontava storie della mia infanzia. Ogni parola era una pugnalata nel mio cuore disperato. Le volevo bene, ma non poteva sentirmi. Nessuno poteva. Era come se fossi già scomparso, come se il mondo avesse deciso di dimenticarmi, di seppellirmi vivo senza una seconda occhiata.
Il prete iniziò a parlare, una preghiera monotona che echeggiava come una condanna. Ogni secondo che passava era un ulteriore passo verso l’oscurità eterna. Mi mancava l’aria, e la bara sembrava restringersi attorno a me. Le pareti di legno mi graffiavano le mani mentre cercavo disperatamente di spingerle via, di trovare un modo per uscire.
Poi, il coperchio si aprì improvvisamente. Luce. Speranza. Ma era solo un sogno crudele. Un’illusione. Era solo la mia mente che cercava di sfuggire all’inevitabile. Il coperchio era ancora chiuso, e io ero ancora intrappolato.
Il suono della terra che colpiva il legno sopra di me divenne incessante. Ogni colpo era un passo più vicino alla mia tomba. Potevo sentirla, la terra che si accumulava, il peso che cresceva, l’aria che si faceva sempre più rarefatta. Ogni respiro era una lotta, ogni pensiero era un grido silenzioso.
Poi, sentii qualcosa muoversi vicino a me. Non ero solo. O forse lo ero, ma la mia mente mi stava giocando brutti scherzi. Sentivo il respiro pesante di qualcun altro, il tocco freddo di una mano che mi afferrava il polso. Un sussurro freddo nel mio orecchio mi disse: “Non sei il primo. Non sarai l’ultimo.”
Le lacrime scesero dai miei occhi chiusi, mentre il terrore si trasformava in una disperazione cupa. Non c’era via d’uscita. Non c’era speranza. Solo il buio eterno, la solitudine, e quel sussurro freddo che continuava a ripetermi che non ero solo.
E mentre la terra sopra di me continuava a accumularsi, realizzai la verità più orribile: ero già morto. Morto in ogni modo che contava. Solo il mio corpo si rifiutava di accettarlo. Ero sepolto vivo, ma non ero mai stato più morto.
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