Scoperta una nuova via per la formazione dei pianeti grazie al radiotelescopio ALMA

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Un team internazionale di astronomi di cui fa parte l’Università degli Studi di Milano, osservando l’instabilità gravitazionale del disco protoplanetario intorno alla stella AB Aurigae ha trovato prove che confermerebbero la formazione di pianeti non solo dall’aggregazione di grani interstellari, ma anche dalla disgregazione di materiale che circonda le giovani stelle. La scoperta, realizzata grazie all’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), il più potente radiotelescopio al mondo, è stata pubblicata su Nature.

Milano, 4 settembre 2024 – Tradizionalmente, la formazione dei pianeti è stata descritta come un processo lento e graduale “dal basso verso l’alto”, in cui piccole particelle di polvere interstellare si aggregano nel corso di milioni di anni, passando da granelli della grandezza di pochi micron a pianeti di dimensioni significative.

Esiste però anche una teoria alternativa: i pianeti possono formarsi rapidamente attraverso un processo noto come “top-down”. Questo avverrebbe nelle regioni caratterizzate da instabilità gravitazionale. In questo scenario il materiale, presente nei dischi di gas e polvere che circondano le giovani stelle, si frammenta in strutture a spirale a causa dell’instabilità gravitazionale; tali frammenti poi si condensano in nuovi pianeti.

A sostegno di questa ipotesi lo studio di un team internazionale di astronomi guidato dall’Università di Victoria (Canada) in collaborazione con ricercatori dell’Università Statale di Milano e pubblicato sulla rivista Nature.

Gli astronomi hanno individuato diversi protopianeti in via di formazione nella regione del disco della giovane stella AB Aurigae, tra cui uno con una massa nove volte quella di Giove. Questi appaiono come ammassi annidati all’interno di una chiara struttura di bracci a spirale che ruotano in senso antiorario attorno alla stella. La stella stessa, AB Aurigae, ha una massa di circa 2,4 volte quella del nostro Sole e ha un’età di circa 4 milioni di anni. L’età della stella pone un enigma: nel modello tradizionale di formazione planetaria “dal basso verso l’alto” ci vogliono decine di milioni di anni per formare i pianeti, molto più dell’età del sistema. Ma se questo processo non ha avuto il tempo di svolgersi, con quale meccanismo si stanno formando i protopianeti?

Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno utilizzato l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) il radiotelescopio più potente al mondo che ha permesso di studiare come si muove il gas nei vasti bracci a spirale del sistema.

Da anni il nostro gruppo di ricerca studia sia con modelli teorici che con complesse simulazioni numeriche la fisica dei dischi gravitazionalmente instabili”, spiega il prof. Giuseppe Lodato, del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano, e coautore della ricerca. “Queste simulazioni, alcune tra le più avanzate al mondo, mostrano che l’instabilità gravitazionale dovrebbe produrre delle specifiche ‘oscillazioni’ nella velocità del disco, in netto contrasto con i dischi che sono stabili. Questo sarebbe un segnale chiaro, una specie di ‘firma’ dell’instabilità. Le nuove osservazioni di ALMA hanno adesso mostrato questa firma”.

Utilizzando il radiointerferometro ALMA (array di 12 metri), il team di ricerca ha mappato la velocità di due isotopologhi dell’ossido di carbonio (il 13CO e il C18O) all’interno di questi vasti bracci a spirale intorno ad AB Aurigae e ha trovato una chiara evidenza delle “oscillazioni” previste.

I bracci a spirale si formano nel disco quando il rapporto di massa disco-stella è sufficientemente alto. All’interno di questi bracci, le variazioni di densità portano a cambiamenti nella gravità, che a loro volta portano a variazioni nella velocità del gas nell’area intorno e all’interno dei bracci. L’entità di queste oscillazioni di velocità può essere utilizzata per dedurre la propensione di questi dischi al processo di frammentazione e quindi di formazione di oggetti di massa planetaria”, ha spiegato Cristiano Longarini, research Associate presso l’Università di Cambridge in UK e che durante il suo Dottorato di Ricerca in Fisica, Astrofisica e Fisica Applicata all’Università Statale di Milano ha sviluppato un modello teorico che lega l’entità di queste oscillazioni alle proprietà del disco.

Il rilevamento dell’instabilità gravitazionale nel disco attorno ad AB Aurigae è quindi una conferma osservativa diretta di questa via ‘top-down’ alla formazione dei pianeti.

Analogamente a come una risonanza magnetica genera immagini del cervello a “fette”, le osservazioni interferometriche di ALMA hanno prodotto un “cubo di dati” tridimensionale che ha mappato la velocità e la posizione del gas all’interno del disco protoplanetario. Analizzando tagli strategicamente orientati attraverso il cubo di dati, il team di ricerca è stato in grado di identificare in modo definitivo l’oscillazione di velocità rivelatrice dell’instabilità gravitazionale.

Fondamentale per il successo della ricerca è stato L’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), gestito da una collaborazione tra lo European Southern Observatory (ESO), lo statunitense National Radio Astronomy Observatory (NRAO) e il giapponese National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ).

La sensibilità e l’alta risoluzione spettrale di ALMA ci hanno permesso di sondare il gas in profondità nel disco e di misurarne con precisione il moto. Abbiamo condotto una delle osservazioni più profonde mai effettuate prima verso un singolo disco protoplanetario. E i dati di Alma ci hanno fornito una chiara diagnosi dell’instabilità gravitazionale in azione”, spiega Jessica Speedie dottoranda del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Victoria e prima autrice.

In riferimento alle previsioni teoriche tramite simulazioni, Speedie aggiunge: “Questa è una classica storia di scienza: l’abbiamo previsto e poi l’abbiamo trovato”.

La ricerca è stata portata avanti anche all’interno del progetto “Dustbusters”, un network finanziato dalla Unione Europea tramite Horizon 2020 e di cui il prof. Lodato è il coordinatore.

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