In prima italiana a Firenze “Ma l’amor mio non muore / Epilogue”: un irriverente spettacolo sul corpo che invecchia firmato dalla compagnia belga Wooshing Machine

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Tra Bob Marley e Nilla Pizzi, John Cassavetes e Nan Goldin, un lavoro gioioso e bizzarro per celebrare i segni del tempo che passa

Domenica 12 alle 17.30 spazio ai giovani spettatori con “Eco-Quiz-Show”: i temi del cambiamento climatico e dell’ecologia trattati in maniera giocosa e poetica col teatro-danza

Firenze, 7.1.2025 – Uno spettacolo politico e deliziosamente ironico per raccontare il corpo che invecchia mentre l’anima conserva la verve per lanciarsi in atti sfrenati. Questo è “Ma l’amor mio non muore / Epilogue”, ultimo lavoro della compagnia belga Wooshing Machine che andrà in scena in prima italiana sabato 11 gennaio ore 21.00 al Teatro Cantiere Florida di Firenze (via Pisana 111R) nell’ambito della stagione a cura di Versiliadanza. Seguito naturale della Trilogia della Memoria, lavoro in tre atti che ripercorreva la vita degli autori, lo spettacolo intreccia ricordi intimi e memoria collettiva nell’impronta lasciata dalla vita sui tre danzatori e coreografi – Carlotta Sagna, Mauro Paccagnella e Alessandro Bernardeschi – figli degli anni settanta e ottanta italiani, emigrati in Francia e in Belgio alla ricerca di fermento politico, sociale e culturale. Un lavoro che, nello stile che contraddistingue la formazione, fa convivere gravità e allegria, disinvoltura e disarticolazione, gigioneria e autoironia, gioia selvaggia e gravità. È vero che l’amore non muore, ma il tempo passa e i corpi dei monelli ne portano il peso. Il pubblico sente scricchiolare le articolazioni degli artisti: davanti a loro si spezzano. Quando un corpo minaccia di cadere è il compagno che si regge, si sostiene, prima di barcollare all’indietro, e non si può evitare di porsi una domanda bruciante e universale: che fare coi nostri involucri mortali? (info e ingressi: www.teatroflorida.it).

Con la Trilogia della Memoria Paccagnella e Bernardeschi, all’epoca cinquantenni, affrontavano la prova del tempo rivisitando 20 anni di sodalizio artistico, culturale e storico. Adesso, sessantenni, creano un nuovo spettacolo che prende il titolo dall’omonimo film del 1913 con la diva del muto Lyda Borrelli, danzatrice e attrice magistrale dalle movenze intense, cariche di emozioni, intensità e languore. “Ma non è tutto: Lyda Borelli ha dato il suo nome a una casa di riposo per artisti, quindi il titolo ci è sembrato più che appropriato!”, scherzano gli autori. L’umorismo gioca un ruolo essenziale, creando la distanza necessaria per guardare con giustizia alle storie personali dei tre interpreti e aprendo uno spazio catartico e liberatorio.

anynamenews

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