Uno studio internazionale, coordinato dalla Sapienza, ha indagato sperimentalmente i meccanismi alla base della rigidità muscolare nella malattia di Parkinson, individuando inoltre un nuovo circuito nervoso sensibile alla dopamina che potrebbe essere responsabile del sintomo. I risultati, pubblicati sulla rivista “Movement Disorders”, aprono nuove strade a terapie innovative
L’incidenza della malattia di Parkinson sembra essere in rapida crescita a livello globale. A oggi la patologia colpisce circa 300 mila persone in tutta Italia. Nonostante la rigidità muscolare sia un segno cardine della malattia – come la bradicinesia, ovvero il rallentamento dei movimenti volontari, e il tremore – tale sintomo rimane ancora poco studiato.
La levodopa, considerata un farmaco “miracoloso” per trattare la malattia di Parkinson, rappresenta ancora oggi il trattamento più efficace per gestire i segni motori della patologia. Tuttavia, a oggi non esistono studi che abbiano valutato e chiarito in modo oggettivo l’effetto della terapia dopaminergica sulla rigidità muscolare in pazienti con malattia di Parkinson.
Lo studio, coordinato da Antonio Suppa del Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza in collaborazione con IRCCS Neuromed, intende colmare questo vuoto. Al fine di chiarire l’effetto della levodopa sulla rigidità muscolare nei pazienti affetti da Parkinson, il gruppo di ricerca ha utilizzato un innovativo approccio sperimentale che combina strumentazioni robotiche e misure neurofisiologiche non invasive. Tale approccio metodologico ha consentito di ricostruire con precisione i meccanismi alla base della rigidità muscolare permettendo così di descrivere in modo più accurato le basi fisiopatologiche della rigidità muscolare nella malattia di Parkinson.
Per indagare l’efficacia del trattamento, i segni e i sintomi motori della malattia sui pazienti sono stati valutati sia in stato di OFF farmacologico (almeno 12 ore dopo l’ultima assunzione della dose abituale di levodopa) che in stato di ON farmacologico (almeno 1-2 ore dopo l’assunzione del farmaco).
“Abbiamo dimostrato che la rigidità muscolare dipende da un riflesso specifico, chiamato long-latency stretch reflex (LLR), che nei pazienti affetti da malattia di Parkinson risulta alterato – spiega Antonio Suppa, professore della Sapienza – La levodopa ha mostrato di ridurre significativamente questa anomalia ripristinando dei patterns di attivazione più fisiologici”.
Sulla base dei risultati ottenuti, i ricercatori hanno poi ipotizzato e descritto un nuovo circuito nervoso responsabile della rigidità nella malattia di Parkinson che collega il tronco encefalico, il cervelletto e il midollo spinale. Tale circuito è influenzato dalla dopamina e potrebbe essere il punto di partenza per nuove terapie.
La ricerca sulla rigidità muscolare è ancora in corso ed è tra i principali argomenti di approfondimento del nuovo laboratorio di “Neurologia sperimentale, neuroingegneria e telemedicina” della Sapienza. Dimostrando oggettivamente e nel dettaglio i meccanismi su cui agisce la levodopa e attraverso i quali il farmaco è in grado di ridurre la rigidità muscolare nei pazienti, lo studio rappresenta un importante riferimento scientifico sul tema. Inoltre, l’individuazione del possibile circuito neuronale alla base della rigidità muscolare suscettibile alla stimolazione dopaminergica, apre strade per terapie innovative.