Un caso che ha sconvolto il sistema giudiziario giapponese
Iwao Hakamada, 88 anni, è stato assolto da un tribunale giapponese dopo aver trascorso 48 anni in prigione, di cui più di 45 in attesa dell’esecuzione. Era stato condannato a morte nel 1968 per l’omicidio del suo ex capo, della moglie e dei loro due figli, nonché per l’incendio della loro casa.
Prove contestate e una confessione forzata
Le prove utilizzate contro Hakamada sono state oggetto di numerose contestazioni. I vestiti macchiati di sangue che gli investigatori avevano attribuito erano stati trovati più di un anno dopo il suo arresto, nascosti in un serbatoio di pasta di soia fermentata (miso). Tuttavia, studi successivi hanno dimostrato che i vestiti immersi nel miso per più di un anno diventano troppo scuri per vedere le macchie di sangue, suggerendo la possibilità che le prove siano state fabbricate dagli investigatori.
Inoltre, i campioni di sangue non corrispondevano al DNA di Hakamada e i pantaloni presentati come prova dai pubblici ministeri erano troppo piccoli per lui. Hakamada aveva inizialmente negato di essere l’autore degli omicidi, ma aveva poi confessato, una confessione che aveva successivamente dichiarato di essere stata estorta con la violenza dalla polizia.
Una lunga battaglia per la giustizia
La sua esecuzione era stata più volte rinviata grazie a lunghi ricorsi e al processo di revisione del caso. Nel 2014, Hakamada era stato rilasciato in attesa del nuovo processo, dopo che nuove prove avevano suggerito la possibilità di una manipolazione delle prove da parte degli investigatori. Tuttavia, non era stato assolto in quel momento.
La sua sorella, Hideko Hakamada, 91 anni, aveva iniziato una campagna per ottenere la revisione del processo nel 2008. Grazie ai suoi sforzi, il tribunale aveva deciso di riaprire il caso, portando al nuovo processo che si è concluso con l’assoluzione di Hakamada.
Un caso simbolo della giustizia giapponese
L’assoluzione di Iwao Hakamada rappresenta un momento importante per il sistema giudiziario giapponese, che è stato spesso criticato per le lunghe detenzioni pre-trial e per i casi di condanne ingiuste. Il caso ha anche sollevato questioni sulla credibilità delle confessioni ottenute con metodi coercitivi.