In una ricerca pubblicata venerdì 19 gennaio, sulla rivista Science, gli scienziati del World Conservation Monitoring Centre del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e dei Royal Botanic Gardens, Kew, in collaborazione con l’Università di Torino e altri partner accademici, hanno quantificato per la prima volta la distribuzione globale delle piante utilizzate dall’uomo. L’analisi ha rivelato che le maggiori concentrazioni di piante si trovano ai tropici, “hotspot bioculturali” che dovrebbero essere aree prioritarie per la conservazione ma, ad oggi, sono in gran parte non protette.
Le piante rendono possibile la vita e hanno permesso all’umanità di svilupparsi e prosperare. Oltre a nutrire gli esseri umani e il bestiame, a fornire medicinali vitali, carburante e materiali per l’abbigliamento e le infrastrutture, la diversità delle piante può fornire soluzioni ai problemi globali attuali e futuri, come la fame, le malattie e i cambiamenti climatici. Il team ha analizzato la distribuzione di 35.687 specie di piante con usi documentati da parte dell’uomo, che coprono 10 categorie, tra cui cibo umano e foraggio per animali, materiali, combustibili e medicinali.
L’analisi ha utilizzato oltre 11 milioni di osservazioni di specie vegetali registrate da botanici di tutto il mondo e algoritmi di apprendimento automatico all’avanguardia per prevedere la distribuzione geografica delle specie vegetali utilizzate e la loro rarità. La ricerca ha identificato l’America centrale, le Ande tropicali, il Golfo di Guinea, l’Africa meridionale, l’Himalaya, il Sud-Est asiatico e la Nuova Guinea come centri eccezionali di specie vegetali rare e con alta diversità di piante utilizzate dall’uomo.
Nonostante la rete globale di aree protette copra il 16% delle terre emerse e delle acque interne della Terra, i modelli mostrano che c’è una maggiore probabilità che le piante utilizzate dall’uomo – in particolare le specie rare – si trovino al di fuori delle aree protette.
Ciò è particolarmente evidente in aree ecologiche delle Americhe, dell’Africa meridionale, del Sud-est asiatico e dell’Australia. La ricerca ha anche rilevato che un numero sproporzionato di specie vegetali utilizzate è presente in molti territori indigeni dell’America centrale, del Corno d’Africa, dell’Asia meridionale e sudorientale.
Le aree indigene che contengono una diversità vegetale eccezionalmente elevata dovrebbero essere considerate prioritarie, sia per la conservazione della natura che per la protezione delle conoscenze tradizionali. Sebbene i governi di tutto il mondo si siano impegnati a proteggere il 30% della Terra entro il 2030, rimangono ancora degli interrogativi su come le nuove aree protette possano garantire la conservazione a lungo termine della diversità vegetale e dei suoi contributi alle persone.
I risultati evidenziano la necessità di trovare modi per proteggere la biodiversità preservando al contempo la sussistenza, il benessere e le conoscenze tradizionali delle persone. La pianificazione della conservazione deve considerare meglio la diversità vegetale e il suo contributo alle popolazioni nella futura pianificazione della conservazione basata sulle aree, soprattutto nell’ambito dell’ambizioso obiettivo 3 del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework della COP 15 di aumentare le aree protette e conservate per coprire il 30% della terra, delle acque interne e degli oceani del mondo entro il 2030.
“Il risultato di questo lavoro collaborativo – dichiara Tiziana Ulian, docente del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e senior research leader del Royal Botanic Gardens, Kew – è un passo importante per comprendere meglio l’enorme diversità delle piante utilizzate dall’uomo, la loro importanza culturale e la distribuzione in tutto il mondo. Proteggendo le aree con un’elevata diversità delle piante possiamo non solo contribuire ad affrontare la crisi globale che affligge la biodiversità, ma anche aiutare a sostenere la transizione verso un futuro sostenibile per l’umanità sul pianeta. Questa alta diversità vegetale può aiutarci a sviluppare Nature-based solutions (NBS) per affrontare sfide globali, come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare. la salute umana e la gestione del rischio di calamità ambientali”.