SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO A CHE TEMPO CHE FA SU NOVE

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Il braccio sta bene. Si muove meglio…” così Sua Santità Papa Francesco a Che tempo che fa su Nove rispondendo alla domanda di Fabio Fazio sulle sue condizioni dopo la caduta.

Sulla tregua fra Palestina e Israele a Gaza e la liberazione delle prime tre donne ostaggio: “Sulla tregua io vorrei ringraziare, ringraziare tanto, i mediatori: quelle persone che sono capaci di mediare perché si risolvano le situazioni. I mediatori sono bravi. Ringrazio tanto per quello che hanno fatto. Grazie!”

Sulla soluzione di due popoli e due Stati, auspicata dal Santo Padre nell’Angelus di questa mattina: La possibilità c’è! Anche credo che sia l’unica soluzione. La disponibilità alcuni ne hanno, altri no. E dobbiamo convincere, dobbiamo convincere con quella retorica mite che convince la convinzione. Ma la pace è superiore alla guerra, sempre. Sempre! Per fare la pace tante volte si perde qualcosa, ma si guadagna di più con la pace. Per la pace ci vuole coraggio!”

Sul significato profondo del Giubileo e sull’esortazione del Papa a ricominciare: Parlando chiaro, la nostra vita è un continuo rincominciare. Sai, ogni giorno, si ricomincia: dopo una caduta, ci si rialza e si ricomincia; dopo un successo, si va avanti e si rincomincia. E questa è una cosa molto importante: ricominciare, che vuole dire camminare. Quando una persona, quando il cuore di una persona si ferma succede quello che succede all’acqua ferma: si rovina, [dice: putredine] si imputridisce. Un uomo deve camminare sempre, come l’acqua del fiume deve andare sempre”

Sul fatto che il Giubileo sia l’occasione soprattutto per chiedere e per ottenere il perdono“Una cosa che a me piace pensare e dire: Dio non si stanca mai di perdonare. Mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. Dio perdona sempre, sempre! E questo mettetelo nella testa, nel cuore: Dio perdona sempre! Dobbiamo soltanto bussare alla porta. Non c’è peccato che non possa essere perdonato; non c’è. Perché Dio vuole avere tutti con sé, come figli, come fratelli fra noi. Questo dobbiamo impararlo bene”

Sulla decisione del Papa che questo fosse il Giubileo della Speranza e rispondendo alla domanda se crede che nel mondo oggi manchi la speranza: “Un po’, un po’. Tante volte ci viene la filosofia della Turandot: la speranza che sempre delude… No, la speranza non delude mai! La speranza è l’ancora sulla spiaggia e noi aggrappati alla corda. Sempre. La speranza non delude. È la virtù dell’andare quotidiano; è la virtù quotidiana. Io faccio questo perché spero qualcosa”

Sull’apertura di una Porta Santa nel Carcere di Rebibbia nel giorno di Santo Stefano, per la prima volta in un carcere: “Io ho voluto fare quello perché io porto nel cuore sempre i carcerati. Quando ero nell’altra diocesi ogni Giovedì Santo andavo a lavare i piedi in un carcere; anche lo faccio qui… il primo anno, come Papa, sono andato a Rebibbia a lavare i piedi, perché mi fanno tenerezza. Tutti noi abbiamo nella vita delle cadute e una caduta ti porta all’altra e poi ti può portare al delitto, a fare na cosa brutta. E se noi siamo stati salvati dobbiamo ringraziare e andare da loro, a dare conforto, ad accompagnarli nelle loro prove. I carcerati…È una delle cose che Gesù dice per entrare in Cielo: “Sono stato in carcere e mi ha visitato”. Non dimenticatevi dei carcerati. Tanti che sono fuori sono più colpevoli di loro. Non dimenticare”

Sul fatto che il Giubileo debba essere un pellegrinaggio interiore e non “turismo”: “È vero quello. Se tu vieni a Roma e vai alla Porta Santa come un turista, senza un senso religioso, non serve a nulla. Ma se tu vai con questa Porta Santa che hai dentro di te e che tu devi passare, tu devi convertirti. La parola è “convertirsi”, cambiare stile di vita, almeno pentirsi. Tante volte non si può cambiare ma c’è il pentimento. Questo sta male, questo non va: questo cambia il cuore, lentamente. Il Giubileo è cambiare il cuore, farlo più umano, più vicino al cuore del Signore. Lasciare che il Signore ci dia lo Spirito Santo e ci cambi il cuore.

Sulla sua autobiografia “Spera”, scritta con Carlo Musso (uscita il 14 gennaio per Mondadori) che avrebbe dovuto uscire postuma: “Negli ultimi tempi, nell’ultimo anno, sono uscite due autobiografie: una fatta da Carlo Musso, questa; e l’altra fatta da Fabio Marchese Ragona. L’altra prende alcuni momenti della mia vita: la persecuzione agli ebrei, le torri gemelle, l’andare sulla luna… Ecco, come io ho vissuto queste cose. È autobiografica. Quella di Carlo Musso è classica, nel senso che prende dall’inizio alla fine, i racconti della vita, anche alcuni più piccoli, ma che danno il senso di come sono io. Il lavoro di Carlo Musso è stato molto, molto delicato… E poi dovevano farla postuma… Non so, hanno pensato che era meglio farla cosi e io li lascio fare…” – e aggiunge“Ma ambedue sono importanti!”

Sulla rissa alla quale ha partecipato quando era un ragazzo, raccontata nel libro: Dopo la scuola, cose da ragazzi… Cose da ragazzi: uno ha detto una cosa all’altro; abbiamo litigato un po’ e poi tutto finito.”

Sul fatto che poi sia andato a trovare l’altro ragazzo, gli abbia chiesto scusa e siano diventati amici: “Sì, si! È una cosa curiosa: lui, alla fine, si è convertito al protestantesimo; è diventato pastore. E ci siamo visti tante volte e pregato insieme. Poi è morto…”

Sulla sua passione per la squadra del San Lorenzo, di cui si fa informare quotidianamente da una persona: “Quotidianamente no, quotidianamente no. Ma ho informazioni…”

Sulle responsabilità individuali e collettive nei confronti dei migranti: “Quattro cose che si devono fare con il migrante: il migrante va assunto (accolto), accompagnato, promosso e integrato. È la nostra esperienza argentina, un Paese di migranti: abbiamo questa esperienza di integrazione. Da noi c’è l’italiano, il tano, lo spagnolo, il gallego; e poi l’ucraino, il russo… Ma tutti integrati. Tutti integrati! È un Paese di integrazione. Se il migrante non è integrato è un problema. Deve fare la patria insieme con gli altri. Assunto (accolto), accompagnato, promosso e integrato: così si deve fare con il migrante”

Sulle parole scritte nel libro sul fatto che immigrazione e guerra siano due facce della stessa medaglia e che ai poveri di oggi non si perdoni neppure la lora stessa povertà: Eh, sì. Oggi la povertà è grande. Ma pensi una cosa: mi hanno spiegato, quelli che capiscono queste cose, che per un anno non si fabbricassero le armi, sarebbe risolto il problema della povertà e della fame. Invece …Invece delle armi, dare da mangiare. La fame nel mondo è grande. È grande! I bambini che hanno fame sono tanti e dobbiamo pensare a questo”

Sulla sua dura posizione contro i fabbricanti di armi e contro la guerra: “È vero questo: è vero! È vero il reddito che danno le fabbriche delle armi è grande. Ma dove ti porta tutto questo? Alla distruzione! E anche il mondo patisce la fame. Dobbiamo pensare a questo. La guerra sempre – sempre! è una sconfitta e dobbiamo dircelo. La guerra è una sconfitta! Guarda quello che sta succedendo in Ucraina, guarda la Palestina, Israele: come distruggono le cose. È triste!”

Sul fatto che la politica spesso cerchi soluzioni per respingere i migranti piuttosto che accoglierli: Ci sono per esempio alcuni problemi. L’Italia in questo momento ha un’età media di 46 anni. Pensa! 46. Non fa figli. Faccia entrare i migranti! Invece, per esempio, in Albania, credo l’età media sia 23. 46 l’Italia. La Spagna di più. Deve risolvere questo problema. Se non fa i figli, fa entrare i migranti. Questa è una cosa che va risolta. Va risolta soprattutto al Sud”

Sull’articolo uscito il 7 gennaio su La Stampa scritto dal cappellano della nave Mediterranea, don Mattia Ferrari, in cui ha raccontato la storia terribile di Naima Jamal, una ragazza etiope torturata in Libia e tenuta come schiava dagli aguzzini, che hanno mandato dei video alla famiglia chiedendo un riscatto: “Don Mattia è bravo. È un ragazzo bravo che lavora bene. È già riuscito – credo –l’ho sento al telefono – a pagare e a liberare quella signora. È già quasi sicuro”

E prosegue: “Voglio dire questo. Don Mattia lavora e prega. E per fare questo lavoro ci vuole la preghiera. Questo è molto importante”.

Alla domanda se si è già sentito con Trump, di cui domani ci sarà l’insediamento e che ha già fatto sapere che vuole cominciare subito il suo programma di espulsione degli immigrati irregolari dagli Stati Uniti: “No. Non ci siamo sentiti. Lui è venuto una volta qui, quando era presidente l’altra volta, ma non ci siamo sentiti. Ma questo, se è vero, sarà una disgrazia, perché fa pagare ai poveri disgraziati che non hanno nulla, il conto dello squilibrio. Non va! Così non si risolvono le cose. Così non si risolvono”

Sulla foto di un bambino in coda a Nagasaki che tiene nello zaino il fratellino morto per le radiazioni, che spesso il Santo Padre distribuisce: “È così. Questo mi dice tanto. Io distribuisco quella foto. Quando scrivo una lettera, metto dentro quella, perché la gente si accorga che la guerra sempre, sempre, è una sconfitta”

Sul fatto che la guerra non sia inevitabile: “Sì, non è inevitabile. I negoziati sono tanto importanti. Davanti a una crisi, anche come ho detto prima, cercare i mediatori che facilitino i negoziati per fare una pace. Delle volte, non sempre, è una pace molto comoda per noi, ma la pace è superiore sempre alla guerra, sempre. Favorire i negoziati internazionali che ci aiutino a evitare la guerra, sempre. Perché sempre la guerra, non dimentichiamolo, è una sconfitta, che ci piaccia o non ci piaccia”.

Sulle origini italiane della sua famiglia di cui racconta nel libro, scrivendo che il rapporto era tenuto vivo dal cinema ma anche dalla musica: “I genitori ci hanno fatto vedere tutti i film del Dopoguerra: la Magnani, Fabrizi … tutti. Da bambini ci portavano a vedere questo. Poi, ci hanno fatto sentire attraverso la radio, in quel tempo, le canzoni di Carlo Buti, quel fascista che è andato in Argentina … Ma cantava bene. Tutte le canzoni ci Carlo Buti, le canzonette italiane che noi cantavamo tra noi. Noi abbiamo avuto un’educazione italiana in questo senso. E anche con l’opera. Il sabato alle due di pomeriggio la radio statale faceva sentire l’opera. E la mamma si sedeva con noi e ci spiegava l’opera. Io ricordo una volta che nell’Otello diceva: “State attenti: adesso l’ammazza”, “Adesso fa questo, quell’altro …”. È stata una cultura musicale e cinematografica che i genitori ci hanno dato sempre”

Sulla passione per Manzoni e per i Promessi Sposi, e sul potere della Provvidenza: “La Provvidenza è la mano paterna di Dio che ti accompagna nella vita. Lui ci prende per mano, sempre. Noi forse non ci accorgiamo, ma Lui ci prende e ci porta avanti. Sempre ti porta avanti”

Sul libero arbitrio: “Il libero arbitrio per me è l’onorificenza più grande che Dio ci ha dato. Dio ti insegna le cose, ma ti vuole libero. Totalmente libero”.

Sul fatto che la libertà a volte può essere un grande peso: “Un grande peso. Ma noi abbiamo la possibilità del perdono. Tu sbagli e Lui ti perdona. Lui non si stanca mai di perdonare. Ci accompagna per mano, sempre.”

Rispondendo alla domanda se la natura umana sia buona o cattiva: “No, è buona. Ha la capacità di andare avanti. È buona. Dio l’ha fatta buona. La [relato? Penso intende introduzione] della Genesi dice: “Dio vide che tutto era buono”. È buona. Pensiamo alla storia di Caino: è buona, ma libera. È capace di fare male, quando le passioni ti portano contro l’armonia. Il peccato più grande sempre è contro l’armonia, l’armonia che fa lo Spirito Santo. Caino rompe l’armonia con il fratello. La Torre di Babele rompe l’armonia fra la gente. Quando si rompe l’armonia la cosa è brutta.”

Sul racconto fatto nel libro in cui confida che mentre, per la prima volta da Papa, stava recandosi al balcone di San Pietro per salutare tutto il mondo, è inciampato: “È vero! È stato il primo inciampo del Papa. Sì, sono andato a salutare il cardinale Dias che era sulla sedia a rotelle e non ho visto lo scalino e sono inciampato. Il Papa infallibile ha cominciato con una cosa fallita: ha inciampato. È curioso”

Sul fatto che nel libro racconta anche delle barzellette: Le barzellette sono una cosa molto bella della vita. Una persona che non fa ridere, che non sa ridere con le barzellette, gli manca qualcosa. Gli manca il senso dell’umorismo. E questo voglio sottolinearlo. Noi abbiamo bisogno di senso dell’umorismo. C’è una bella preghiera di San Thomas More dove si chiede quel senso dell’umorismo, avere quella capacità di ridere di sé stesso, degli altri. Questo ti fa il cuore largo, grande. Non dimenticate: senso dell’umorismo.”

Sulla nomina di pochi giorni fa di suor Simona Brambilla come prima donna Prefetta di un dicastero del Vaticano e sul ruolo che lui si immagina per la donna nella Chiesa del futuro“Ma anche del presente. Il lavoro delle donne nelle curie è una cosa che è andata lentamente e si è compresa bene. Adesso ne abbiamo tante. Per esempio, per scegliere i vescovi, nella commissione ci sono tre donne che scelgono i nuovi vescovi. Nel Governatorato, la vice-governatrice che diventerà governatrice a marzo, è una suora. Nel Dicastero per l’Economia una vice, è una suora che ha due lauree. Le donne sanno fare meglio di noi. Una volta ho avuto davanti a me la Presidente della Commissione europea [Ursula] Von der Leyen, mamma di sette figli. E io le ho detto: “Ma signora, come fatto a risolvere questo problema, il problema del tempo?” E lei ha fatto così con le mani [fa un gesto]. Come fanno le mamme. Le donne sono gestire meglio di noi. E come diceva quel cinico, era un’altra realtà, dal giorno del Paradiso terrestre comandano loro”

Sulla prima volta in cui un gruppo di transessuali andò in Vaticano: “Vicinanza! Quella è la parola. Vicinanza a tutti. Tutti. Ma voglio ricordare questo. I peccati più gravi, sono coloro che hanno più “angelicalità”. I peccati della carne hanno meno “angelicalità”. I peccati della gola, i peccati sessuali hanno meno “angelicalità”. Invece, non prendersi cura di papà e mamma, le bugie, truffe … Questi hanno tanta “angelicalità”. Dobbiamo essere rispettosi e non mettere tutto nei peccati della carne. A me fa schifo quando alcuni nella Confessione cercano sempre quello. I peccati della carne hanno meno “angelicalità”, ma gli altri, non dimenticare. È tanto brutto non prendersi cura di papà e mamma, tanto brutto. Hanno più “angelicalità”. Questa è la chiave per capire un peccato grave”

Sul fatto che per un cristiano la cosa che conta siano le azioni: “Eh, si! E avere sempre i tre linguaggi: quello della mente, quello del cuore e quello delle mani. Pensare bene, sentire bene e fare il bene. I tre linguaggi, è molto importante…”

Sugli scandali della pedofilia all’interno della Chiesa, di cui il Papa nel libro adotta una posizione severissima, e rispondendo alla domanda se questa posizione sia finalmente consolidata anche all’interno della Chiesa: “Questo, si va avanti. Questa cosa che io ho ricevuto, già in cammino, adesso si sta consolidando bene. Grazie a Dio! Ma gli abusi sono un male molto grande. Pensa che il 40 per cento più o meno è nella famiglia, nel quartiere. I bambini, le bambine sono sempre a rischio di essere abusati. E dobbiamo lottare su questo. Dobbiamo lottare tanto!”

Sul disagio crescente tra i giovani e sulle possibili risposte: “Ce ne sono, ce ne sono. Ci sono risposte e la prima di tutte è essere vicino e accompagnare. Essere vicino e accompagnare. I giovani hanno forza, possono reagire bene. Dobbiamo essere vicini e accompagnare. Non dimenticare questo: la vicinanza e andare per mano per il cammino della vita”

Sul fatto che nel Vangelo la bestemmia contro lo Spirito Santo sia indicata come l’unico peccato che non sarà perdonato e se secondo il Papa esiste un peccato imperdonabile: No! E Gesù dice questo per far capire come è una cosa brutta, la bestemmia contro lo Spirito. Ma se tu, dopo aver bestemmiato contro lo Spirito, chiedi perdono al Signore, il Signore perdona sempre. Ma il modo di dire che la bestemmia contro lo Spirito è l’apostasia forse più grande, più grande che ci può accadere. E dobbiamo custodire lo Spirito. Una parola che viene nei primi secoli: custodire lo Spirito che è dentro di noi. È lo Spirito Santo che ci porta avanti”

Sui suoi sentimenti a proposito della Shoah: Un sentimento di pietà e di vergogna: pietà, perché dobbiamo aprirci a quel dramma; e vergogna, perché noi uomini siamo stati capaci di fare quello. Io ricordo quando sono andato ad Auschwitz: mi sono seduto, prima di entrare, davanti alla forca dove sono stati assassinati tanti, tanti, tanti… E ho guardato quella forca: cosa ha fatto… E poi quando tu entri lì, quelle parole “Arbeit macht frei”: “Arbeit macht frei”… Ma che lavoro? Il lavoro lì dentro, di schiavi? Poi ho visitato alcune celle, ho pregato. E ho visto alcuni filmati del tempo, su come uccidevano i prigionieri: è stata una vergogna umana! E un dolore umano… Dobbiamo sentire queste storie. E qui, a Roma, ho un rapporto con la grande signora, 92 anni, Edith Bruck, una poetessa ungherese… Brava, brava!”“È una brava signora che ci può dire tante cose, tante cose. E questa signora va nelle scuole, a 92 anni, a spiegare ai ragazzi quel problema, quel dramma. Sarebbe bello se lei la intervistasse, la Edith Bruck…”

Sulla prima cosa che ha pensato quando lo hanno nominato Papa: “Sono pazzi! Ma che si faccia quello che Dio vuole… “

Un messaggio per gli ascoltatori: “Fratelli, sorelle, l’anno giubilare è per aprire il cuore. Non lasciare passare questa opportunità. Avanti e coraggio. E non perdere il senso dell’umorismo. Grazie!

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